La Pietà fiorentina

Museo dell’Opera del Duomo

Marmo, altezza cm. 226 – 1550-55

da

The sculpture of Michelangelo

di Umberto Baldini, Rizzoli New York, 1981

Foto di Liberto Perugi

trad. dall’inglese di Andreina Mancini

Sia Vasari che Condivi riferiscono che Michelangelo aveva pensato di essere sepolto ai piedi di questa scultura. Tuttavia, l’artista cambiò idea, forse perché nel 1561 decise di vendere il gruppo per 200 scudi a Francesco Bandini, forse perché il suo desiderio iniziale di essere sepolto a Roma fu sostituito dal desiderio più pressante di essere sepolto a Firenze.

Bandini sistemò la statua nei giardini della sua villa sul monte Cavallo a Roma, dove probabilmente rimase (Bandini morì nel 1564) fino al 1674.

A questo punto fu trasferita a Firenze, su richiesta di Cosimo III che la voleva per la chiesa di San Lorenzo. Qui rimase, nella cripta, fino al 1722, quando fu trasferita in Duomo. All’inizio fu collocata dietro l’altare maggiore, dove rimase finché, nel 1933, fu installata nella prima cappella a destra del transetto nord.

Recentemente è stata spostata nel Museo dell’Opera del Duomo.

Quanto alla cronologia dell’opera, essa fu probabilmente iniziata nel 1550; nel 1553, secondo Condivi, Michelangelo ci stava ancora lavorando. La maggior parte degli studiosi accettano la data del 1550-55, ma ritengono che a un certo punto durante questo periodo l’artista abbia eseguito una prima versione. Prova di questa prima versione è stata trovata in una copia di Lorenzo Sabatini ora nella Sagrestia di San Pietro a Roma; in una stampa di Cherubino Alberti; e in un modello di cera (in passato ritenuto opera autografa, ma di fatto una copia) fra i beni di O.Gigli a Firenze (O. Gigli, Documenti relativi al bozzetto di cera …, Firenze, 1873; A.De Angelis, Capitolium, 1953).

A. Parronchi ritiene che l’opera dovrebbe essere vista in relazione alla Tomba di Giulio II e suggerisce una datazione anteriore intorno al 1534-35.

Nel tentativo di modificare la posizione delle gambe del Cristo, la statua si ruppe per un difetto del marmo. Oggi è possibile individuare molti punti in cui la statua (abbandonata e lasciata incompiuta da Michelangelo) si è rotta, per errore o di proposito.

Nella figura del Cristo, il braccio sinistro mostra una frattura proprio sopra il gomito, la gamba sinistra è mutilata (un pezzo di questa gamba mancante è registrato nell’inventario dei beni di Daniele da Volterra); c’è una frattura lungo il petto; anche le dita della mano della Vergine mostrano di essere state spezzate.

Tiberio Calcagni – attraverso il quale Bandini venne in possesso dell’opera – cercò di portare a termine la figura della Maddalena e intervenne anche in varie zone che sono state variamente identificate da alcuni studiosi.

Si ipotizza che nella figura di Nicodemo si possa ravvisare un autoritratto dell’artista. Dal punto di vista tematico l’opera è stata collegata a una tradizione del XIV-XV secolo particolarmente radicata a Firenze; uno schema simile appare nella perduta Pietà per Vittoria Colonna (circa 1538). Antiche fonti sono state trovate, in particolare in una Morte di Patroclo su un sarcofago etrusco, già presso la Casa Buonarroti e ora nel Museo Archeologico di Firenze. Solo Tolnay ha interpretato l’opera da un punto di vista allegorico (Michelangelo, 1951).

“Ancora una volta il simbolismo dei due lati ha il suo ruolo: il lato destro, quello di Maria Maddalena, è il lato della Vita, e il lato sinistro, quello della Vergine, è quello della Morte. Una personificazione della divina Provvidenza, Giuseppe d’Arimatea, come il sacerdote in un matrimonio, porta a compimento la riunione della Madre e del Figlio, così desiderata da Maria.

Il dolore umano sembra essere superato; le figure vive sono piene della stessa misteriosa dolcezza e del senso di beatitudine che si può leggere nelle fattezze serene del Cristo morto. Le teste di Cristo e di Maria sono fuse insieme; i corpi si fondono l’uno nell’altro, come i loro sentimenti. Ognuno di loro non è che una sfumatura della beatitudine che nasce dalla loro partecipazione al Divino Amore. Michelangelo sembra giunto al momento di fare i conti con la morte, che ora gli appare per offrirgli la pace suprema dell’anima.

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