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In Canada, alla National Gallery

JOSEF SUDEK

“Sono arrivato a Praga circa due mesi dopo […] da quel momento in poi, non sono mai andato da nessun’altra parte, e non lo farò mai. Cosa cercherei se non trovassi quello che volevo? »

Sudek, citato da Sonja Bullaty, Sudek, Parigi, 1986

Dal sito della National Gallery of Canada

Traduzione di Paolo Pianigiani

Sebbene Josef Sudek sia nato nel 1896 a Kolín sull’Elba in Boemia, ha trascorso la maggior parte della sua vita a Praga, una città che amava e conosceva intimamente; per diversi decenni e fino alla sua morte, ha scattato migliaia di fotografie della sua architettura e dei suoi abitanti.

Il fascino di Sudek per la luce, e la sua assenza, lo hanno portato a creare alcune delle immagini più inquietanti del XX secolo, con temi della natura, monumenti, strade e oggetti, tutti soggetti trasformati dalla sua profonda conoscenza del potere della luce per mostrare come l’ombra renda tutto impenetrabile. Per ottenere questi effetti, usa dispositivi semplici ma molto poetici che rivelano la luce sollevando polvere o usando goccioline da un irrigatore da giardino, per esempio.

Si dice che Sudek, addestrato nella rilegatura, non sarebbe mai diventato un fotografo se non fosse stato ferito nella prima guerra mondiale. Nel 1915 fu arruolato e inviato sul fronte italiano. Gravemente ferito (perse il braccio destro), fu dimesso dall’ospedale dei veterani nel 1920 per stabilirsi a Praga, allora considerato il gioiello d’Europa.

Nel 1922, Sudek si iscrisse alla Scuola di Arti Grafiche di Praga e si formò in fotografia. Nel 1924 partecipò alla fondazione della Società Fotografica Ceca, un gruppo d’avanguardia il cui obiettivo era quello di liberare la sua produzione dalla tradizione pittorica.

Nel 1926 tornò brevemente in Italia, dove viaggiò con gli amici dell’Orchestra Filarmonica Ceca. Fu in quel momento che sembra aver avuto un esaurimento nervoso, rimanendo nella fattoria dove era stato curato quando era stato ferito. Quando tornò a Praga due mesi dopo, promise a se stesso che non se ne sarebbe mai andato.

Nonostante la sua disabilità, Sudek lavora con enormi telecamere di grande formato, aiutato da assistenti, tra cui Sonja Bullaty, che ha risposto a un annuncio sul giornale dopo la sua liberazione da un campo di concentramento nazista. Bullaty stessa sarebbe diventata una famosa fotografa e avrebbe continuato a lavorare con Sudek, pubblicando in seguito diversi cataloghi e collaborando all’organizzazione di retrospettive delle opere di quest’ultimo.

Sudek visita e fotografa luoghi che hanno un significato personale o spirituale ai suoi occhi: i paesaggi lungo l’Elba, l’Hotel des Invalides, la Cattedrale di San Vito, le strade intricate e le piazze ariose di Praga, il maestoso castello e i dintorni della città, così come Frenštát pod Radhoštem, dove trascorre le sue estati con gli amici. Anche il suo studio è di grande importanza per lui. È dalla finestra di questa, metafora visiva che separa la sua residenza-laboratorio dal mondo esterno, che si impegna in esplorazioni approfondite di ciò che vede. 

Nessun luogo è più sacro per lui del luogo in cui vive e nessun altro fotografo si dedicherà tanto a rappresentare una città quanto il “poeta di Praga”. Sudek continua a scattare foto solo alla fine della sua vita, quando è così vecchio che muoversi per la sua amata città diventa troppo difficile.

Morì di infarto il 15 settembre 1976, all’età di 80 anni. Sudek ha lasciato 16 libri e monografie pubblicati in Cecoslovacchia e migliaia di prove e negativi nel suo studio.

THE INTIMATE WORLD OF JOSEF SUDEK

Friday, October 28, 2016 — Sunday, February 26, 2017

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