Prima di Mino e Cosimo…

Da “Ora et Labora”,

di Luciano Artusi e Antonio Patruno

Semper Editore, 1996

Ammiriamo adesso, tra il portone d’ingresso e il primo altare, una bella tavola centinata a tutto sesto di Alessio Baldovinetti (che la dipinse tra il 1470 e il 1473) riproducente una Schiera di Angeli in adora­zione con i Santi Giovanni Battista, Caterina, Lorenzo e Ambrogio, che circondano una Natività raggian­te realizzata nel 1485 da Giovanni di Michele Scheggini da Larciano detto il Graffione1, discepolo del Baldovinetti stesso.

Il pregevole dipinto eseguito a olio su tavola, mostra al centro la Madonna in veste rossa e manto azzurro, inginocchiata ed adorante il divin Bambino, nudo disteso con un ditino in bocca. Ai lati, sulla sinistra San Giovanni Battista e Santa Caterina d’Alessandria, sulla destra San Lorenzo e, in primo piano, Sant’Ambrogio con il bastone ricurvo che rappresenta il simbolo dell’autorità vescovile. In alto al centro, fra un volo di angeli ed uno squarcio di nuvole, la bianca colomba simboleggiante lo Spirito Santo.

La storia di questa pittura merita un approfondimento che rivela interessanti sorprese. Ma partiamo dall’inizio. Il 14 febbraio 1470 Alessio Baldovinetti ricevette l’incarico da parte del priore di Sant’Ambrogio Domenico Maringhi di dipingere il suddetto quadro, che doveva avere al centro un’apertura destinata ad accogliere il tabernacolo marmoreo che custodiva il venerato reliquiario del Santissimo Miracolo.

Dopo un triennio di (si presume) controverso lavoro, finalmente l’opera venne portata a termine e per nove anni fece da “cornice” al ciborio. Probabilmente, alle suore questa sistema­zione non doveva essere mai piaciuta poiché, alla morte del Maringhi, la madre badessa Maria dei Barbadori commissionò a Mino da Fiesole il tabernacolo definitivo che venne ultimato nel 1482.

A questo punto il ciborio “incorniciato” dalla tavola del Baldovinetti non servendo più allo scopo iniziale, rimase inutilizzato e il quadro “vuoto”. Pertanto, nel 1485, le monache al fine di poter fruire della bella opera, si decisero a chiedere allo stesso Baldovinetti di dipingere (offrendo 8 fiorini larghi d’oro) il centro della tavola, compito che in realtà fu eseguito (e molto bene) dal “Graffione”.

Ma che fine fece il tabernacolo inserito nella tavola del Baldovinetti e poi “soppiantato” da quello assai più maestoso di Mino da Fiesole? Certamente, non sarà stato gettato via o venduto al miglior offerente, in quanto era ormai parte integrante della storia di Sant’Ambrogio e del suo Santissimo Miracolo.

Ragion per cui, ci viene da pen­sare che sia rimasto in chiesa e anche in una posizione di un certo rilievo. Ora, è possibile stringere un ipo­tetico cerchio e dedurre che questo tabernacolo possa in realtà essere quello marmoreo di Andrea di Lazzaro Cavalcanti detto “Il Buggiano”, situato nella parete a destra dell’altar maggiore.

Le dimensioni infatti (120 x 62 cm) corrispondono sorprendentemente all’inquadratura del “vuoto” centrale della tavola del Baldovinetti e, conseguentemente a quelle della Madonna dipinta successivamente dal Graffione.


  1. Il Vasari definisce così l’artista: “Fu costui bizzarra e fantastica persona. Non mangiò mai in casa sua che fusse apparecchiata d’altro che di suoi cartoni, e non dormì in altro letto che in un cassone pien di paglia, senza lenzuola”.

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